Roccia eruttiva effusiva, prevalentemente o totalmente vetrosa, particolarmente porosa e quindi leggera. Come abrasivo è utilizzata o sfruttando direttamente una superficie di frattura (in questa forma è comunemente definita pietra pomice) o dopo macinazione, per la pulitura e la lucidatura di marmi, metalli, stucchi, legni, pergamene, ecc. Si segnala inoltre il suo impiego nell'ambito della falsificazione delle opere d'arte per fingere sulla superficie pittorica un effetto di consunzione o di leggera velatura, conferendo una parvenza di antichità al manufatto. La pomice è stata inoltre utilizzata come carica inorganica a comportamento pozzolanico nella fabbricazione delle malte per aumentare la resistenza meccanica del legante e impedire la formazione di crepe da ritiro. Vedi anche pittura a pastello. Filippo Baldinucci (1681) ne registra due qualità: "Pomice prima sorta. Una pietra dura tutta porosa con la quale si dà il lustro alle statue, ed altri lavori di marmo. Pomice, seconda sorta. Una pietra leggierissima, spugnosa e fragile, di color del calcinaccio, o più tosto bigia; che vale a più usi, e particolarmente a' pittori per lisciare e pianare le tele e tavole mesticate, da potervi dipignere; agli intagliatori di rame per pulire e lisciare la piastra del rame, per potervi intagliare". Giacinto Carena (1853) la ricorda viceversa come "atta a dare l’ultimo pulimento a certi più squisiti lavori del legnaiuolo, togliendo con essa i graffi lasciati sul legno dalla pelle del pesce". Lo stesso, nel capitolo dedicato all'arte dell'orefice, precisa: "Pomice, pietra molto porosa, e talora spugnosa, leggerissima, e tuttavia molto dura, e perciò serve, quasi a modo di lima, a spianare, e lisciare l'oro, l'argento, il rame e l'ottone, ecc.". |