Termine già in uso nel sec. XVII a indicare una tavoletta su cui il pittore depone una serie di dosi di colore, generalmente lungo i bordi e secondo una disposizione logica e consequenziale. Di forma ovale o rettangolare, la tavolozza presenta lateralmente un foro per essere impugnata e manovrata sulla base delle esigenze dell'artista e uno spazio centrale dove mescolare i colori e creare gli impasti necessari. Lo spessore diminuisce progressivamente sul lato opposto al foro, in modo che questo possa mantenere una condizione di equilibrio. Nel caso della pittura a olio la tavolozza è in legno (tradizionalmente in pero opportunamente trattato per evitare l'assorbimento dell'olio), per la pittura a tempera, a guazzo o ad acquerello ci si serve di superfici in porcellana, metallo smaltato, vetro, comunque impermeabili al colore e lavorate in modo tale da presentare una successione di incavi o scodelline. Nel restauro si prediligono ugualmente tavolozze di vetro, ceramica o materiali plastici inattaccabili dai solventi. Dal XVIII sec. il termine ha assunto anche il significato di gamma cromatica prediletta dall'artista o particolarmente caratteristica della sua opera. Vedi anche conchiglia dei pittori. |