Conglomerato costituito da materiali inerti (sabbia, ghiaia, breccia, scaglie di laterizi, ecc.) uniti a un legante in presenza di un'opportuna quantità d'acqua. Il termine, che storicamente individua un impasto ottenuto con malta di calce, pozzolana e pietrisco utilizzato dai Romani (opus caementitium, calcestruzzo romano), indica oggi un conglomerato di cemento utilizzato essenzialmente per colata o gettata in appositi contenitori (cassaforma) realizzati in legno o in lamiera che, quando il cemento ha fatto presa, vengono rimossi (disarmo). Gli elementi risultanti (dalle forme estremamente variate quanto variate sono le possibilità di costruzione della cassaforma) presentano forte resistenza alla compressione e bassa resistenza alla trazione, ovviamente in relazione alle singole componenti del conglomerato e alle loro proporzioni. Storicamente, dopo l'impiego della tecnica da parte dei Romani, l'uso del calcestruzzo è documentato a partire dalla seconda metà dell'Ottocento con alcune esperienze localizzate in Francia: tra la fine del secolo e i primi del Novecento è diventato l'elemento più diffuso nelle tecniche costruttive, anche per la facilità della messa in opera e per il modesto costo rispetto ad altri materiali. Sempre nel Novecento si è diffuso il suo uso anche in ambito prettamente artistico, per la realizzazione di sculture monumentali. Dal latino medioevale calcistrutium, a sua volta incrocio di calx calcis, calce, con instructus, costruito. |
note: N. Pevsner, J. Fleming, H. Honour, Dizionario di architettura, Torino 1981. |