Termine arcaico per ago e, in generale, per uno strumento particolarmente appuntito. Nel Vocabolario di Filippo Baldinucci (1681) il termine è messo in diretto riferimento con uno specifico utensile utilizzato nell'incisione in cavo: "Aguglia. Ago per intagliare in rame ad acqua forte. Piccolo strumento a somiglianza dell'ago da cucire, fassi di finissimo acciaio talmente temperato, che l'ago si rompa con veemenza. S'accomodano quest'aghi in certe verghette o manichetti di legno, lunghe circa mezzo piede, e grosse quanto la penna dell'oca, facendo uscir fuori della verghetta o manico tanta parte dell'ago quanto è la grossezza di due piastre fiorentine. Fannosi di due sorte, alcuni che terminano in punta acuta, ed altri tagliati a sbieco nel fondo, in forma, d'una ciappola tonda; i primi servono per tirare i tratti sottili, i secondi per ingrossargli occorrendo, e talvolta per far tratti di grossezza ineguali, coll'usare essa ciappola tonda girando la mano: gli uni e gli altri si fanno di grossezze diverse, secondo il bisogno dell'artefice, e tanto la lor punta, che il taglio, si fa arrotondogli sopra una pietra da olio, che è quella pietra che usiamo per dare il filo a' rasoi, e altri coltelli di finissimo taglio". Vedi agugella, vedi bulino. |