Gli stucchi in esterno del palazzo della "Reggia" Università degli Studi di Torino
Rita Binaghi, Giacomo Chiari, Oscar Chiantore
 
 

Analisi chimico-mineralogiche

Le indagini scientifiche, chimiche e mineralogiche, compiute sul cantiere di restauro hanno completato il quadro. Furono effettuati prelievi in diversi punti del cantiere, campionando strati con colorazioni di diversa tonalità. Una prima serie di campioni fu ottenuta in forma di polvere mediante raschiatura con bisturi di strati superficiali rappresentativi delle colorazioni. Altri campioni furono prelevati dalla decorazione di un sovrapporta del lato sinistro del loggiato mentre altri ancora, caratterizzati da una colorazione giallo-bruno, più chiara rispetto ai campioni precedenti, provenivano da un cornicione nelle vicinanze dello stesso sovrapporta. Una terza campionatura riguardò strati di intonaco, ad altezza vicina al pavimento, di colore brunastro in parte simile a quello del prelievo precedente, e provenienti da un sottofinestra della balconata. Quest'ultimo campionamento aveva lo scopo in particolare di poter confrontare le colorazioni trovate  nelle pareti e sfondati con quella degli stucchi.
Una seconda serie di campionature per determinare le sostanze organiche venne effettuata mediante trattamento degli stucchi con impacchi di silice e acqua ammoniacale e anche mediante tamponatura delle superfici con cloroformio. Infine, un ultimo prelievo particolare è stato effettuato sulla superficie della decorazione a forma di conchiglia, di colore rosso scuro, che si trova sulla chiave dell'arco in alto sul lato sinistro del cortile. Su questa conchiglia, una tra le poche decorazioni originali rimaste a questo livello dell'edificio, sono stati fatti prelievi sia mediante impacchi basici che con tamponature di solvente, oltre a quelli eseguiti prelevando qualche milligrammo di polvere. Tutti questi prelievi hanno riguardato sottilissimi strati superficiali delle diverse parti, in modo da poter mettere in evidenza gli eventuali trattamenti pittorici o di verniciatura effettuati con finalità estetiche. Nonostante la limitazione dell'indagine agli strati superficiali, è stato possibile raccogliere, per ciascuna delle zone interessate, quantità di campione più che sufficienti per l'esecuzione di misure multiple e differenziate sia su stucchi che su intonaci. Da un punto di vista concreto la disponibilità per ciascun campione di quantità dell'ordine del centinaio di milligrammi ha permesso di convalidare i risultati tramite un confronto incrociato di prove sperimentali di natura diversa. 
In tutti i campioni prelevati mediante raschiatura la componente inorganica è risultata essere predominante. L'analisi mediante diffrazione dei raggi X (metodo delle polveri) (5) è stata effettuata su campioni che fossero per quanto più possibile rappresentativi della superficie, anche  se non è stato possibile evitare la presenza di strati sottostanti.  La misura eseguita su un campione di colore bruno-rossiccio, prelevato da un sovraporta in uno strato già pulito, ha mostrato la presenza prevalente di gesso, minori quantità di calcite e di feldspato (Microclino) e abbondanti ossalati di calcio, sia Whewellite che Weddellite.
Non si è riscontrata traccia di pigmento rosso, e questo fatto può essere attribuito alla effettiva assenza di pigmento oppure al fatto che la quantità presente sia inferiore all'1-3% e che quindi non venga registrata dalla tecnica di diffrazione. Per questo motivo altri campioni, questa volta scagliette, sono stati esaminati al microscopio binoculare, rivelando una crosta giallo-bruna, trasparente, molto simile alle tipiche croste di ossalati. Dispersi in tale strato, con densità molto bassa, si notano granuli rossi che potrebbero essere l'elusivo pigmento.  A giudicare soltanto dal colore questo si direbbe ematite più che cinabro, il quale tende maggiormente verso l'arancio. Per verificare questa ipotesi il campione è stato arricchito eliminando parte del gesso e della calce con un debole attacco acido, ed effettivamente si è potuta riscontrare negli spettri successivi la presenza di ematite.
Il gesso deriva ovviamente dall'impasto costitutivo degli stucchi. Per quanto riguarda la abbondante quantità di ossalati, è da notare non solo la presenza di ossalato di calcio (weddellite), ma ancora più abbondante quella dell'ossalato di magnesio (glushinskite), che non è un ritrovamento comune nelle patine o croste dei materiali lapidei dove risulta comunemente presente  solo l'ossalato di calcio nei suoi diversi stati di idratazione. Si può supporre che la formazione del raro ossalato di magnesio sia avvenuta grazie alla presenza di sali solubili di magnesio, non uniformemente distribuiti sulla superficie. Una ipotesi che si può avanzare sui sali di magnesio è quella del possibile uso, nel cantiere, della calce di Superga per la quale è documentata una composizione in cui l'idrato di magnesio è presente in quantità non irrilevante (6).
Anche la conchiglia originale che si trova quasi sotto la copertura del loggiato ha fornito risultati simili agli altri campioni: gesso dominante, poco quarzo ed ossalati molto abbondanti.  La glushinskite è presente in quantità approssimativamente superiore al 20 % . Si può osservare che il campione, ritenuto di epoca settecentesca, è stato preso in un luogo esposto all'esterno, e si trova perfettamente conservato. Difficilmente il gesso, che costituisce la matrice dello stucco, avrebbe retto alla pioggia senza la protezione degli ossalati. E'ovvio che in questi casi, dal punto di vista dell'intervento conservativo, non deve essere rimosso lo strato superficiale che risulta essere protettivo.
La ubiquitaria presenza di ossalati sulle superfici di edifici e monumenti è più una regola che una eccezione e la spiegazione più accettata, ormai supportata anche da molte sperimentazioni e verifiche di laboratorio, è che gli ossalati siano lo stadio finale, di mineralizzazione, nella degradazione ambientale delle sostanze organiche applicate sulle superfici come protettivi, leganti o adesivi (7). Il colore che questi ossalati presentano può derivare dalla presenza di residui organici, oppure di sostanze minerali colorate incorporate nelle pellicole degli ossalati stessi.
Una prima traccia della presenza di sostanze organiche nei campioni del Loggiato la si è potuta ottenere dagli andamenti delle curve termogravimetriche. In un tipico campione proveniente dagli stucchi si può riscontrare, a temperature fino a 200 °C, una perdita in peso che si è potuta attribuire all'allontanamento delle molecole di acqua del gesso. A temperature superiori ai 300°C inizia un secondo processo di perdita di peso che si esaurisce completamente attorno ai 500 °C, in un intervallo di temperatura, cioè, dove avviene la decomposizione termica di ogni sostanza organica, leganti, resine o vernici, presente. L'entità di questa perdita di peso varia, per i diversi campioni, tra il 5 e il 12%. 
La predominanza dei componenti inorganici, e in particolare del gesso, era tale che dalle analisi mediante spettroscopia infrarossa eseguite su aliquote dei campioni in polvere, non si otteneva alcuna indicazione sulla presenza di sostanze organiche, essendo predominanti gli assorbimenti tipici del solfato di calcio. Al contrario, disperdendo in cloroformio una aliquota delle polveri di raschiatura, venivano estratte componenti solubili i cui spettri infrarossi mostravano le bande di assorbimento caratteristiche di strutture organiche ossidate e ricche di doppi legami. Questi spettri infrarossi sono quindi stati assunti come prova della presenza di strutture organiche sulle superfici esaminate, ma la natura di questi composti non era rivelata da questo tipo di determinazione.
La identificazione puntuale di quale tipo di sostanza organica sia presente in una matrice o substrato richiede l'uso di una metodologia che fornisca una risposta più specifica, e per questo è stata impiegata la pirolisi accoppiata alla gas-cromatografia ? spettrometria di massa. Si tratta di inserire una piccolissima quantità di campione (meno di 1 milligrammo) in un fornetto che è collocato in testa alla colonna gas-cromatografica, al posto della tradizionale camera di iniezione. Il fornetto viene portato rapidamente ad una temperatura selezionata sufficientemente alta da provocare la immediata decomposizione di resine, vernici o leganti polimerici, in frammenti di basso peso molecolare che volatilizzano nella camera della fornace e vengono trascinati da una corrente di gas inerte nella colonna cromatografica dove sono quindi separati in base alle loro diverse strutture chimiche (8). Il rivelatore del sistema gas-cromatografico è uno spettrometro di massa che fornisce, per ogni composto eluito, il peso  molecolare e un pattern di frammentazione da cui si può ricostruire la struttura del composto.
La conoscenza dei frammenti caratteristici che si formano nella pirolisi di resine e leganti organici permette di effettuare la interpretazione dei pirogrammi ottenuti e di risalire alla tipologia dei composti presenti nei campioni indagati. L'applicazione di questa tecnica, tuttavia, può risultare poco efficace nel caso in cui i prodotti della pirolisi di un materiale siano di peso molecolare moderatamente elevato e contenenti gruppi molto polari, come gli ossidrili, che non vengono eluiti dalle colonne cromatografiche. Queste sostanze risultano essere difficilmente vaporizzabili sia per il loro alto peso molecolare sia per interazioni forti (legami ad idrogeno) che si formano tra molecole diverse dando luogo a strutture dimeriche ancora meno volatili. 
Nel caso dei leganti dovuti alle pitture o ai trattamenti delle superfici che si possono riscontrare in edifici o  monumenti, si è quasi sempre in presenza di sostanze - oli, cere, vernici o colle - costituite da molteplici componenti aventi differenti pesi molecolari e differenti strutture, in cui possono essere presenti molti gruppi ossidrilici, o per la natura dei composti stessi o perché formatisi nelle reazioni di ossidazione che i materiali hanno subito durante il loro naturale invecchiamento. Queste sostanze sono particolarmente difficili  da analizzare con la tecnica gas-cromatografica.
Per poter effettuare separazioni gas-cromatografiche di questi composti poco volatili è necessario pertanto ricorrere a tecniche di derivatizzazione, basate tutte su reazioni specifiche per la trasformazione dei composti ossidrilati, acidi organici o alcoli, in loro derivati più volatili. Una delle varianti di derivatizzazione può essere applicata ai campioni direttamente nella camera di pirolisi, dove si fa avvenire una metilazione termicamente assistita dei composti ossidrilati, che vengono successivamente eluiti nella forma di esteri o eteri metilici (9). I campioni dei vari prelievi, pertanto, sono stati tutti pirolizzati anche in questa modalità, con la quale si sono ottenuti i risultati più completi per la identificazione dei prodotti organici e per mettere in evidenza le differenze tra i vari campioni.
Nei campioni prelevati dagli stucchi, e anche negli strati brunastri provenienti da pareti, è sempre risultata la presenza di un olio siccativo, molto probabilmente olio di lino. In un paio di casi, il prelievo dalla conchiglia del cornicione superiore e una raschiatura dal cornicione di collegamento tra i sovrapporta, la analisi ha indicato la presenza di una cera animale, tipo cera d'api. Sia gli oli siccativi che la cera d'api danno come prodotti di pirolisi una molteplicità di composti in comune: idrocarburi alifatici saturi e insaturi, e acidi grassi. Si distinguono tuttavia tra di loro in parte per il differente pattern complessivo delle tracce cromatografiche, e soprattutto perché la pirolisi degli oli dà luogo a una serie di acidi bicarbossilici tra cui predomina l'acido azelaico che si forma attraverso reazioni di ossidazione nell'invecchiamento dell'olio, e ne costituisce il principale indicatore (10). 
Una notazione interessante che si può ancora fare sui risultati di queste determinazioni è che in alcuni dei campioni sono anche stati identificate tracce non trascurabili di composti aromatici che si suppone derivino da inquinanti atmosferici assorbiti nel tempo dalle superfici esterne del Palazzo.
 
 

Note
(5) Le analisi per diffrazione dei raggi X sono state eseguite utilizzando un diffrattometro a polveri Bruker D5000 con radiazione Ka del rame e monocromatore a grafite sul raggio secondario. I programmi di interpretazione usati sono il Diffrac plus della SOCABIM.
(6) Cfr. C. REVELLO, E. TAMAGNO, I mattoni e la calce di Superga, in Superga. Storia e memoria, a cura di L. FONTANELLA VITALE-BROVARONE, Torino, Celid, 1994, p.421
(7) AA. VV., The oxalate films in the conservation of works of art, II International Symposium, Editeam,1996, Milano.
(8) T.P. WAMPLER, Applied Pyrolysis Handbook., Marcel Dekker, New York 1995.
(9) J.M. CHALLINOR, J. Anal. Appl. Pyrolysis 16, 323 (1989).
(10) D. SCALARONE, M. LAZZARI, O. CHIANTORE, J. Anal. Appl. Pyrolysis 58-59, 503 (2001).
 
 

Index