Gli
stucchi in esterno del palazzo della "Reggia" Università degli Studi
di Torino
Rita Binaghi, Giacomo Chiari, Oscar
Chiantore
Conclusioni
L'uso di stucchi negli apparati decorativi
dell'architettura conobbe un'importante ripresa, dopo l'utilizzo in periodo
classico, nel XVI secolo. Cominciò poi ad avere una grande diffusione
in tutta l'Europa a partire dal diciassettesimo secolo, variando nei materiali
e tecniche esecutive a seconda del periodo e delle zone geografiche. Oltre
al gesso, che degli stucchi è il componente principale, venivano
impiegati altri componenti inorganici e sostanze organiche diverse che
mescolate nell'impasto svolgevano le funzioni di leganti e di ritardanti
dell'indurimento o presa dello stucco (11). Si impiegavano per questi scopi
gomme, colle animali, melassa, sostanze proteiche come caseine o albumine,
e altre ancora. Lo scopo ricercato era quello di facilitare la lavorabilità
della pasta ritardandone l'indurimento. La durezza e la apparenza delle
superfici potevano essere variate giocando sugli altri componenti inorganici
degli impasti di finitura, che contenevano anche i pigmenti necessari per
ottenere la colorazione finale desiderata. La finitura delle decorazioni,
infine, veniva ottenuta o tramite lucidatura meccanica, o mediante applicazione
di prodotti vernicianti. Tipici trattamenti di epoca barocca comprendevano
l'uso di oli siccativi, grassi animali, cere (12).
Il risultato delle analisi sulle
decorazioni murarie del loggiato e della facciata interna del Palazzo dell'Università
rientra pienamente in questo quadro e l'individuazione dei componenti materiali
costituisce anche verifica delle tecniche impiegate. Si può infatti
ipotizzare che le superfici di stucchi e decorazioni murarie siano state,
all'epoca della loro fabbricazione, trattate con oli e cere, senza aggiunta
di pigmenti, allo scopo di dare un particolare effetto lucido, oltre che
probabilmente di aumentare la saturazione del colore della falsa pietra.
La colorazione originale degli stucchi era il rossiccio risultante dalla
presenza di ossidi di ferro (la presenza di ematite potrebbe essere giustificata
dal fatto che si faceva uso di "macciaferroî ossia di piccole scorie di
ferro, ricavate dalla lavorazione dello stesso, per rendere più
idraulica la calce (13)) nell'impasto del marmorino usato per lo strato
di finitura. La abbondante presenza di ossalati viene spiegata, a sua volta,
considerando che questi sono i prodotti finali della degradazione degli
oli e cere applicati sulle superfici. Allo stesso tempo gli ossalati possono
anche derivare, in parte, da caseine, colle animali, o altre sostanze eventualmente
utilizzate negli impasti per la modellazione degli stucchi.
Si può quindi argomentare,
in conclusione, che il colore mattone-rosato degli stucchi ben si doveva
contrapporre al grigio molto chiaro ed iridescente della muratura
piana e dei soffitti sull'esterno, indicato nei documenti. Su tutto giocava
una luce complice e ricercata per ridefinire un rapporto di estremo interesse
tra architettura e decorazione, intuibile ancor oggi al termine del restauro,
nonostante la ripresa non totalmente fedele dei colori. (Figura 3).
Gli stucchi sono componenti fondamentali
dell'Architettura, i quali partecipano pienamente della vita dell'oggetto
architettonico, soprattutto nella sua ricaduta visiva a cui si riconosce
valenza artistica. E' difficile poter pensare, ed in particolar modo in
periodo barocco che l'intenzione dell'architetto progettista fosse quella
di ricadere in mono tono appiattente.
La loro importanza è inoltre
facilmente deducibile anche dallo spazio ad essi dedicato nella trattatistica
architettonica storica che descrive materiali, supporti e finiture protettive.
Nonostante però l'attenzione espressa nelle descrizioni, non si
giunge mai ad una ricetta effettiva, quantomeno per noi traducibile in
termini operativi efficaci. Manca l'esperienza del mestiere che è
dato per conosciuto e che fa la differenza. Si tratta, il più delle
volte, di una rassegna di materiali che si fa fatica a ricondurre alle
pratiche quotidiane del cantiere, fatto questo che costituisce poi lo iato
sostanziale tra un manuale ed un trattato e che fa sì che un trattato
non possa essere direttamente operativo, conservando il segreto dell'Arte.
Non a caso dunque, nonostante tutti
gli studi, è un mondo quello degli stucchi in cui rimane ancora
molto da scoprire. Lo dimostrano le continue sorprese che i cantieri di
restauro riservano, incentivando e motivando studi e ricerche sotto il
profilo fisico-chimico, accompagnate e supportate dall'indagine storico-archivistica.
Esempi importanti di quanto affermato
sono proprio i cantieri torinesi del Palazzo dell'Università e quello
di piazza San Carlo (14). In entrambi questi interventi è infatti
emerso come fondamentale un aspetto, a cui si è dato sino ad oggi
una scarsa rilevanza in senso scientifico, perché ritenuto più
di pertinenza artistica: il valore del rapporto colore-luce. In realtà
la consapevolezza della ricerca e quindi lo studio dei modi attraverso
cui questo rapporto è stato interpretato in periodo barocco costituisce
un asse portante anche per l'indagine scientifica, perché l'effetto
ricercato non è ottenuto solo con l'ausilio della forma data alla
materia, ma anche attraverso l'uso di materiali diversi. E per materiali
qui si intende un concetto molto allargato, che va oltre alla distinzione
mattone, pietra o stucco, per entrare nell'ambito dei componenti di base
e della loro interrelazione reciproca, che sono poi di fatto l'oggetto
diretto delle indagini di laboratorio.
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Figura 3.
Scorcio del cortile del Palazzo dell'Università degli Studi di Torino,
dopo l'intervento di restauro delle superfici esterne e degli apparati
decorativi sostenuto dalla Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici
e Culturali di Torino. |
Note
(11) T. TURCO Il Gesso, Lavorazione
trasformazione Impieghi, Hoepli 1990, Milano.
(12) M.BERNER, J.WEBER, "Stucco
marble: notes on its preparation according to literature" in Baroque Artificial
marble: Environmental Impacts, Degradation and protection, ENVIART, Protection
and Conservation of European Cultural Heritage, Research Report N°
9, C. Wittenburg Ed. (1999) 11- 20.
(13) M. G. CERRI, Le tecniche costruttive
del cantiere sabaudo (1695-1747): una guida per il recupero, in Manutenzione
e conservazione del costruito fra tradizione ed innovazione, Atti del Convegno
di Studi di Bressanone 1986, a cura di G. BISCONTIN, Padova, 1986, p. 97.
(14) Nel caso della ritinteggiatura
della piazza, che costituisce il cuore di Torino, il problema fondamentale
è stato quello di ripristinare un effetto colore-luce più
vicino possibile a quello originario. Anche qui le sorprese non sono state
poche, lasciando sul campo problemi ancora insoluti come quella strana
colorazione grigia molto scura, che è apparsa dopo la pulitura a
bisturi degli stucchi e che, non potendo essere una colorazione effettiva
ed intenzionale, lasciava solo supporre un viraggio. Ma di che cosa? Le
indagini chimico-fisiche su campioni, condotte in particolare dalla Dott.
M.A. Galloni, non hanno potuto fornire risposte chiarificatrici. Pertanto
per ora la soluzione è demandata ad indagini supplettive. Per un
approfondimento si rimanda a Piazza S. Carlo a Torino - Storia di un Restauro,
a cura di M.P. DAL BIANCO, C. MARENCO DI SANTA ROSA, con la collaborazione
di Soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici del Piemonte e del
Settore Arredo Urbano della Città di Torino, Milano, Edizioni Lybra,
in corso di stampa.
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