"Stucchi"
neogotici col Portland bianco. L'oratorio Pesenti in Montecchio (Alzano
Lombardo)
Mariangela Carlessi
L'Oratorio Pesenti
Con l'acquisto dell'antica proprietà
di Montecchio nel 1897, il primogenito dei fratelli Pesenti ne inizia subito
la riforma chiamando Muzio a progettare la villa in forme neorinascimentali
in prosecuzione della preesistente "casa di villeggiatura" alla sommità
del declivio della possessione, negli anni successivi destinata a trasformarsi
in parco per l'equitazione dai caratteri complessivamente ispirati alla
cultura del "giardino all'inglese". Vengono così costruite nel volgere
di breve tempo le pertinenze: l'oratorio, la grande scuderia "per 26 cavalli"
e la serra, raffigurati nel dipinto del paesaggista Ernesto Piacentini
nel 1910. La veduta, dai piedi del declivio, mostra accanto alla villa
dall'intonaco policromo l'oratorio, dal colore bianco cangiante, entrambi
rivolti verso il parco e attorniati da una serie di conifere ancora giovani.
La "piccola chiesetta privata, che
sorge poco distante dalla villa, di un certo valore artistico e architettonico
e che, malgrado gli anni si trova ancora in buone condizioni" (3)
non sembra aver attirato in passato particolare attenzione, e per quanto
ci è noto il primo intervento compiuto su di essa risale solo al
1995. L'edificio stimola però curiosità ed interesse per
le caratteristiche architettoniche e per la tecnica di realizzazione della
sua "maschera" esterna, integralmente in graniglia di cemento. L'attribuzione
a Virginio Muzio appare plausibile anche in assenza di riscontri documentari:
oltre al continuo legame con la famiglia testimoniano a favore la sua erudizione
architettonica e il riscontro, nell'oratorio, di ornamenti che sono citazioni
quasi letterali di dettagli delle cattedrali gotiche del Nord Europa ritratte
dall'architetto nei viaggi giovanili, nonostante la sua produzione dimostri
una preponderante propensione verso gli stilemi classicisti (4).
Il carattere dell'oratorio quale
piccolo edificio per il culto comunque concepito come sorta di "padiglione"
all'interno di un giardino - per quanto modestamente - "romantico", certo
legittima nell'ambito di una tradizione radicata il ricorso al repertorio
"neogotico". Per la sua data di costruzione attorno al volgere del secolo
e per la declinazione fantasiosa della scelta "stilistica", estranea a
volontà propriamente revivalistiche, non è necessario scomodare
il gusto e la cultura che già nella prima metà dell'Ottocento
conducono anche in Italia alla diffusione di cappelle, padiglioni, ville
ed edifici privati di vario tipo e dimensione in carattere gotico (5) ;
un riferimento più vicino è costituito dal tema dell'edicola
funeraria, oggetto di insegnamenti specifici e assai divulgato dalle raccolte
e dalla pubblicistica, e della cui rilevanza testimonia il ricco campionario
delle "architetture in miniatura" del Monumentale di Milano (6) . Esempi
in stile neogotico, dai toni però alquanto severi, erano frequenti
anche se forse non prevalenti, e tutti rigorosamente in marmi naturali
di colore chiaro: Botticino, Candoglia, Carrara.
Nel capriccioso "giocattolo" del
giardino Pesenti, memore delle follies inglesi, sembra piuttosto
accavallarsi il repêchage dei ricordi di viaggio e delle esperienze
dirette dell'architetto, citazioni certo fondate ma reinterpretate e ambiguamente
mescolate, rivelando la lontananza dai suoi stessi modelli - e ancor più
dalla "moralità" e sincerità attribuita alla costruzione
gotica - proprio nella sfacciata esibizione del carattere artificiale del
suo rivestimento (7) . La scelta della cromia candida e quindi della stessa
materia riflettono forse l'idea dell'ornamentazione gotica tradizionalmente
legata, da noi, ai colori chiari della pietra d'Istria dei preziosi ricami
del gotico veneziano e al marmo di Candoglia del Duomo di Milano, per esempio,
e le stesse architetture coeve all'oratorio Pesenti sopra ricordate confermano
questa possibilità. Gli oltre novanta anni trascorsi dalla sua costruzione
avevano peraltro provveduto a smorzarne i toni e ad esaltare i risalti,
e l'immagine consolidata nella memoria e testimoniata dalle fotografie
ante 1995 ne ricordano il fascino davvero "pittoresco", complici le specie
arboree circostanti, prima che il recente intervento di "pulitura" ne proponesse
una rinnovata versione.
Nonostante il carattere "monumentale"
l'edificio ha dimensioni ridotte (6,6 x 8,8 metri in pianta, per un'altezza
di oltre 8,5 metri alla sommità della balaustra) e struttura assai
semplice, trattandosi di una cella rettangolare coperta da una volta a
botte interrotta dalle unghie degli oculi laterali; possiamo ipotizzare
la sua tecnica costruttiva in muratura mista o in prismi di cemento per
le strutture verticali e in una "voltina sottile" in "cemento semiarmato"
per la copertura (8). Al fronte verso il parco è affidato il maggior
impegno, e in esso si compongono i richiami più espliciti al lessico
gotico ormai ampiamente divulgato e alla simbologia cristiana, talvolta
stilizzati o fantasiosamente riplasmati: nei pinnacoli angolari fortemente
aggettanti e conclusi dalla guglia che si assottiglia verso il fiorone
terminale, nel grande "portale" centrale retto da colonne (a tutto sesto
all'intradosso e carenato alla sommità, per formare l'elemento svettante
memore del pignon gotico), nella finta "galleria" cieca di coronamento
e nella balaustra "a vento" (nel cui disegno è riconoscibile la
sagoma di un giglio stilizzato, simile a quello della balaustra della Sainte-Chapelle
parigina raffigurata da Viollet-le-Duc nel suo Dictionnaire). Alquanto
arretrato rispetto al "portale" un semplice piano ad intonaco di cromia
più scura, solcato solamente da giunti ad imitazione di un "bugnato
gentile", regolare e simmetrico, è forato dall'ingresso a strombo,
la cui cornice più esterna in modo insolito asseconda, includendola,
la monofora superiore. Ai dettagli fortemente caratterizzati in senso naturalistico
(come i capitelli, i crochets o foglie rampanti, le figure a tuttotondo)
si accompagnano motivi stilizzati tra cui, per esempio, i pannelli con
le croci del basamento, e l'accentuazione del rilievo plastico secondo
forme curve o rettilinee si alterna a superfici lineari determinando una
sezione orizzontale alquanto movimentata. Il rigore nelle proporzioni disegna
pure i fronti laterali, decisamente più sobri nell'ornamentazione:
l'ordine inferiore è costituito dalla semplice specchiatura ad intonaco
"rigato a bugne" coronata dalla sequenza di archetti ciechi, e quello superiore
ospita gli oculi circolari dalle cornici di sapore Jugendstil. Ancor più
il fronte posteriore si differenzia per il disegno disadorno e severo,
privo di elementi di "richiamo" anche per l'assenza delle figure nei pinnacoli
(forse previste in origine): prevale l'intonaco, scandito in tre strette
campate da fasce verticali, e che prosegue al livello superiore forato
dal rosone centrale; le guglie che concludono i pinnacoli sono qui sensibilmente
più basse, costituite da un elemento piramidale con un fiorone a
quattro foglie, ancora diverso e ruotato.
Inevitabilmente, disegno architettonico-ornamentale,
materia e tecnica si influenzano a vicenda sulla base delle possibilità
di realizzazione. Aggetti e rientranze, lastre e figure "scolpite", superfici
variamente calibrate si alternano pensati evidentemente in vista dell'effetto
evocativo ma in funzione anche delle modalità di getto e di assemblaggio;
la cura dei dettagli e del materiale rende possibile i trafori, l'infittirsi
della decorazione e la resa chiaroscurale dei risalti plastici, come pure
la lieve modulazione delle valenze cromatiche e di luminosità, grazie
alla qualità dell'impasto e della rifinitura. Nella definizione
di tale "marmo artificiale" la prima ragion d'essere risiede nella disponibilità,
allora da poco conseguita, di un nuovo legante candido, versatile, stabile
e resistente.
Note
(3) Dalla relazione peritale dell'architetto
Sandro Angelini stesa nel luglio 1969 in occasione delle lunghe trattative
da parte del Comune di Alzano Lombardo per l'acquisto di Montecchio, avvenuto
nel 1970. Il complesso è vincolato ai sensi della LN 1089/39. Un
riferimento all'oratorio, oggi sede di mostre temporanee, è nella
scheda dedicata alla Villa Montecchio in C. Perogalli, M.G. Sandri, V.
Zanella Ville della Provincia di Bergamo, Milano, Rusconi, 1983, p. 200.
(4) Muzio disegna nel 1895 la villa
per il fratello minore Augusto, nel 1897 la cappella funeraria per la famiglia
di Carlo e nel 1904, anno della sua morte, la splendida serra ancora per
Augusto; non possono peraltro escludersi interventi o "pareri" per gli
altri edifici e residenze Pesenti sorti o riformati in quegli anni. Nell'Archivio
Virginio Muzio depositato presso la Biblioteca Civica A. May di Bergamo
non si conservano documenti sull'oratorio Pesenti, e gli unici progetti
di ispirazione "gotica" sono relativi ad una serie di altari (1889). Su
Muzio, cfr. soprattutto G. Mezzanotte, L'architetto Virginio Muzio 1864-1904,
Milano, 1972 e E. Robbiani, I disegni di Virginio Muzio nella cultura grafica
dell'ultimo Ottocento, estr. da Quaderno, n. 12, Roma, 1973. Per un commento
dettagliato dell'oratorio si veda il paragrafo curato da Fabrizio Bonomi
in Carlessi-Bonomi, 1999, cit., p. 28; lo stesso Giuseppe Pesenti, nipote
di Carlo, non ha dubbi sulla paternità dell'oratorio.
(5) L'associazione consapevole tra
"cappella" e forme gotiche accompagna già l'evoluzione del Gothic
Revival e più in generale il gusto del "pictoresque" nelle grandi
country houses inglesi del Settecento, come ricorda lo stesso K. Clark
(The Gothic Revival, 1950; ed. italiana Il Revival gotico, 1970, p.77).
La letteratura è vasta, e i riferimenti a plausibili "precedenti"
sono molti, fra cui l'opera di G. Japelli alla Villa Sopranzi di Tradate,
la cappella-tribuna neogotica di M. Canzio nella Villa Durazzo Pallavicini
a Pegli, le architetture da giardino disegnate da A. Gherardesca nel territorio
pisano, le "Margherie" di Racconigi di P. Pelagi, gli arredi del giardino
Puccini a Scornio (Pistoia), la cappella in Villa Suardi-Castelbargo a
Ispra (Varese), ecc.
(6) Cfr. M. Petrantoni, a cura di,
Il Monumentale di Milano. Il primo cimitero della Libertà 1866-1992,
Milano, Electa, 1992; G. Ginex, O. Selvafolta, Il cimitero Monumentale
di Milano. Guida storico-artistica, Milano, 1996, p. 14, e per quanto attiene
i "modelli" allora divulgati si vedano anche Il Cimitero Monumentale di
Milano. Edicole funerarie isolate e contromuro, tombe, Torino, Crudo &
Co., s.d., e le annate di L'Architettura Italiana, dello stesso editore,
dal 1905.
(7) Ancora K. Clark ricorda che
le stesse decorazioni di Strawberry Hill erano realizzate con una pietra
artificiale allora prodotta a Lambeth, e denominata "lithodipra"; Clark,
1970, cit., p. 60.
(8) Simile cioè alle varie
tipologie di volte in calcestruzzo dalle luci limitate, sottili e "debolmente
armate", che ricorrono nello stabilimento di Alzano Sopra, frutto delle
incessanti sperimentazioni condotte dall'ingegner Cesare Pesenti.
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