STEFANO
F. MUSSO
Lo stucco in architettura. Tra
"simulazione" e"nascondimento"
in: Lo Stucco. Cultura, tecnologia,
conoscenza." Atti del Convegno di Studi, Bressanone 10-13 Luglio 2001
pp. 27-36
Molte sono le parole e le espressioni
utilizzate in riferimento allo stucco, nelle diverse epoche e nelle diverse
situazioni. Sono parole ed espressioni che rimandano ad un universo ricco
di variazioni, sia per quanto concerne gli oggetti interessati, sia per
quanto riguarda le azioni tecniche che líarte dello stucco comporta sia,
infine, per quanto concerne le intenzioni cui essa può dare ed ha
dato risposta. Partiamo dunque da queste parole per orizzontarci nel mondo
di cui discutiamo.
I manufatti
L'arte dello stucco ha da sempre
interessato i più diversi oggetti e i più svariati campi
dellíarte, dell'artigianato e dell'architettura, creando soluzioni specifiche
in relazione alla forma, ai materiali e al ruolo di ciascun manufatto,
ma anche, con riferimento alle intenzioni con le quali lo stuccatore lavorava.
E' un mondo d'oggetti in cui compaiono, a stretto contatto reciproco e
talvolta senza apparente soluzione di continuità: dipinti su tavola,
infissi, mobili, superfici parietali, elementi costruttivi (cornicioni,
balaustre, colonne, lesene, parasteÖ), decorazioni (grottesche, partiti
architettonici, bassi e alti rilievi, figure a tutto tondoÖ).
Lo stucco, in sostanza, è
stato da sempre un materiale disponibile alle più varie "interpretazioni"
come dimostrano innumerevoli testimonianze pre-romane e romane, paleocristiane,
bizantine, longobarde, medievali, rinascimentali, barocche, tardobarocche,
rococò e neoclassiche, eclettiche o contemporanee.
Dall'alto a sinistra
in basso a destra: bassorilievo in stucco dei Colombari di Faria- Pozzuoli;
Tempietto di Cividale del Friuli; Cappella Paolina del Palazzo del Quirinale,
Roma; Teatro Olimpico di Vicenza di A. Palladio; F. Borromini - SantíIvo
alla Sapienza; scalone del Palazzo dellíUniversità di Pavia; Gabinetto
degli Stucchi al Castello del Valentino - Torino; palco reale al teatro
La Fenice di Venezia; cappella in stucchi nella chiesa di San Giovanni
a Pesaro; statua in stucco di Giacomo Serpotta - Palermo; soffitto con
cornici a stucco in Palazzo Lescaris - Torino; edicola votiva su fianco
della chiesa di San Donato a Genova.
Esempi che rimandano, appunto, a
una straordinaria produzione di forme e di oggetti, di decorazioni e di
finiture che, spesso, sembrano avere come base comune la consapevolezza
della disponibilità del materiale a produrre "cose mirabili e strane",
come annota Giorgio Vasari:
"Le grottesche sono una spezie di
pittura licenziose e ridicole molto, fatte dagl'antichi per ornamenti di
vani, dove in alcuni luoghi non stava bene altro che cose in aria; per
il che facevano in quelle tutte sconciature di monstri per strattezza della
natura e per gricciolo e ghiribizzo degli artefici, i quali fanno in quelle
cose senza alcuna regola, apiccando a un sottilissimo filo un peso che
non si può reggere, a un cavallo le gambe di foglie, a un uomo le
gambe di gru, et infiniti sciarpelloni e passerotti; e chi più stranamente
se gli immaginava, quello era tenuto più valente. Furono poi regolate,
e per fregi e spartimenti fatto bellissimi andari; così di stucchi
mescolarono quelle con la pittura. E sì innanzi andò questa
pratica che in Roma et in ogni luogo dove i Romani risedevano ve n'è
ancora conservato qualche vestigio. E nel vero, tócche d'oro et
intagliate di stucchi, elle sono opera allegra e dilettevole a vedere".
(da: G. Vasari, Le viteÖ, cap. XXVII, pagina 143 ).
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