STEFANO
F. MUSSO
Lo stucco in architettura. Tra
"simulazione" e"nascondimento".
in: Lo Stucco. Cultura, tecnologia,
conoscenza. Atti del Convegno di Studi, Bressanone 10-13 Luglio 2001
pp. 27-36
Il restauro degli stucchi, ovvero:
"dellíapparente inevitabilità delle integrazioni".
Di questo mondo di materiali, strumenti
e intenzioni dobbiamo essere consapevoli, quando studiamo líarchitettura
del passato, ma ancor più quando ci apprestiamo ad intervenire sulla
sua materia e sulle sue forme. Sono molti, infatti, i "restauri" che sollevano
dubbi che non possiamo ignorare e, neppure, possiamo frettolosamente assimilare
ai problemi che riguardano altre componenti dell'architettura. La flessibilità,
di forme, díuso e di materie, che sembra segnare líuso dello stucco, impone
forse una nuova riflessione su alcuni concetti e su alcune soluzioni ricorrenti
nella "materia del restauro".
Non sfugge, infatti, la particolare
circostanza per cui, a fronte di raffinate riflessioni sul trattamento
delle lacune nei tessuti figurativi dei dipinti, ad esempio, non si registri
alcunché di simile per quanto riguarda le decorazioni plastiche
a stucco. Allo stesso modo, possiamo ricordare come, da almeno due secoli,
la cultura artistica, archeologica, storica e del restauro si sia schierata
contro le "integrazioni" dei manufatti scultorei, apparentemente senza
discriminazioni legate alla loro natura materiale. Eppure, accade usualmente
di vedere: grottesche, cornici, modiglioni, ovuli e fusarole, tralci di
vite e fiori, trionfi di frutta, metope e triglifi, patere e bucrani, cornucopie,
teste di putti, angeli e intere figure, anche di proporzioni monumentali,
apparentemente marmoree, auree o di altro materiale, ma in realtà
realizzate in stucco, soggetti a integrazioni, completamenti, aggiunte
e modifiche correttive. Sembrerebbe, allora, che la natura "stucchevole",
quindi "falsa, effimera, provvisoria, povera o illusoria", di simili "oggetti"
autorizzi a trattarli in modi differenti da quelli proposti per manufatti
che appaiono formalmente in tutto analoghi, ma che in realtà sono
di una più "vera" e pregiata consistenza.
Dettaglio di una figura
a stucco sulla facciata di Palazzo Spinola di Pellicceria a Genova, prima
e dopo gli interventi di restauro.
Potremmo anche tornare a chiederci
se, nel caso del "Torso del Belvedere", sia ancora lecito ipotizzare ciò
che Quatremere De Quincy indicava come reale obiettivo del restauro scultoreo
(aggiungere ciò che manca per restituire dignità e comprensibilità
al reperto) e che non si debba ossessivamente ribadire un radicale rifiuto
contro quelli che alcuni considerano legittimi tentativi di restituire
perdute completezze ai monumenti rovinati e monchi. Si potrebbe riandare,
con la memoria al gruppo del Laocoonte o al Discobolo di Mirone, più
volte "integrati" e quindi "dis-integrati", con un disinvolto andi-e-rivieni
nel tempo e nella materia. Ma se accettiamo di discutere su questo terreno,
come impedire che tutto ciò avvenga su putti, teste, fiori e candelabre
in stucco? Se, allíopposto, si sostiene che tutto ciò non è
accettabile per il marmo, per líolio o la tempera di una tela, per quale
motivo lo dovrebbe essere per un manufatto in stucco? La risposta a simili
quesiti potrà essere di tipo "pragmatico e relativo", tale cioé
da commisurare le azioni tecniche alle situazioni al contorno e agli obiettivi
da conseguire. Si potrebbe allora sostenere che da una parte vi è
lo scarso pregio della materia in gioco, lo stucco, la sua dipendenza da
una stagione transeunte del gusto che non pretendeva, con esso, di durare
più del naturale, la ripetitività delle forme adottate anche
con le tecniche del calco e dello "stampo", l'assenza di una vera individualità
espressiva e artistica, poiché gli oggetti in stucco appartengono,
secondo antiche graduatorie, ad uníarte minore e applicata. Dall'altra
parte vi sarebbero, all'opposto, materiali più pregiati e durevoli,
dal marmo al bronzo, plasmati da personalità di maggiore levatura
e per fini di più ampia risonanza e durata. Da tutto ciò,
però, chi potrebbe dedurre che il putto in stucco, con armatura
metallica, può essere rifatto, integrato se rotto, o ricostruito
se mancante, magari imitando per analogia esempi vicini nel tempo e nello
spazio? Chi potrebbe, con rigore, sostenere tutto ciò e, contemporaneamente,
ribadire che un putto analogo per forma o stato di conservazione, ma scolpito
in nobile marmo statuario di Carrara, non potrà essere trattato
parimenti e ancor meno integrato? Non possono certo essere esclusive motivazioni
tecniche, pur rilevanti, a sancire tale differente trattamento, anche perché
si sono di fatto aggiunte mani, membra e volti a statue marmoree antiche
e di nobili natali, nei secoli passati, così come si sono ridipinti
interi cicli pittorici, anche di mano di venerabili artisti.
Dettaglio di un festone in stucco dipinto, durante e dopo
gli interventi di integrazione, nel Palazzo Schifanoia di Ferrara.
Per quali motivi, dunque, un lavoro
in stucco, per elaborato che sia, é usualmente integrato o rifatto,
con quei criteri della copia per analogia, con una ricerca dellíunità
díinsieme che passa sopra ogni situazione di fatto (materiale, formale,
storica, documentaria), che in altri casi e di fronte ad analoghi manufatti
di diversa consistenza, é da tempo rifiutata? Non pare si tratti
di una questione di poco conto e, forse, varrebbe la pena ripensare a molti
concetti che diamo forse troppo spesso per scontati e universalmente accettati.
Nicchia con statua di
santo e angeli sul fastigio, prima e dopo gli interventi di restauro con
integrazione delle parti mancanti tratte, per antologia da esempi limitrofi
e coevi - Integrazione (a destra) di lacuna di una cornice in stucco, previa
realizzazione di armatura in filo di ferro.
Analogamente, potremmo ragionare
intorno agli interventi di pulitura o di re-integrazione pittorica, normalmente
eseguiti, con grande sicurezza, sugli apparati decorativi a stucco più
intimamente legati allíarchitettura, là ove i problemi sono in tutto
analoghi a quelli che pone il restauro di un analogo apparato decorativo
realizzato, ad esempio, ad affresco. Se esiste una differenza, sarebbe
bene provare a chiarirne i contorni, anziché affidare tutto, nel
delicato terreno delle "questioni di metodo e di principio", a contestabili
meccanismi di estensione meccanica delle idee e dei postulati normativi.
Il fronte di Palazzo Spinola
di Pellicceria a Genova, prima e dopo i recenti restauri.
Potremmo, infatti, domandarci cosa
succederebbe, domani, se ad andare perduta non fosse una qualsiasi porzione
di cornice a stucco, o un medaglione modellato, sia pure dal famoso stuccatore
palermitano Serpotta, ma un brano degli stucchi del finto abside di Santa
Maria presso San Satiro. Si integrerebbero allora gli stucchi voluti da
Donato Bramante o scatterebbe, in quel caso, líassoluto rispetto dovuto
allíopera di un sommo artista, considerata intangibile?
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