GIORGIO VASARI
La messa in opera di decorazioni plastiche in stucco
in: Giorgio Vasari, Le vite de' più eccellenti architetti, pittori et scultori italiani, da Cimabue insino a' tempi nostri, (1550), Torino, Einaudi 1991, cap. XII, p. 55.
 

Solevano gli antichi, nel volere fare volte o incrostature o porte o finestre o altri ornamenti di stucchi bianchi, fare l'ossa disotto di muraglia, che sia o mattoni cotti o vero tufi, cio è sassi che siano dolci e si possino tagliare con facilità, e di questi murando facevano l'ossa di sotto, dandoli a forma di cornice o di figure o di quello che fare volevano, tagliando de' mattoni o de le pietre, le quali hanno a essere murate con la calce. Poi con lo stucco che nel capitolo III dicemmo, impastato di marmo pesto e di calce di travertino, debbono fare sopra le ossa predette la prima bozza di stucco ruvido, cioè grosso e granelloso acciò vi si possi mettere sopra il più sottile quando quel di sotto ha fatto la presa, e che sia fermo, ma non secco affatto. perché lavorando la massa della materia in su quel ch'è umido, fa maggior presa, bagnando di continuo dove lo stucco si mette, acciò si renda più facil a lavorarlo.
E volendo fare cornici o fogliami intagliati, bisogna avere forme di legno, intagliate nel cavo di quegli stessi intagli che tu vuoi fare. E si piglia lo stucco che sia non sodo sodo, né tenero, ma di una maniera tegnente, e si mette su l'opra a la quantità della cosa che si vuol formare, e vi si mette sopra la predetta forma intagliata, impolverata di polvere di marmo, e picchiandovi su con un martello, che il colpo sia uguale, resta lo stucco improntato; il quale si va rinettando e pulendo poi acciò venga il lavoro diritto et uguale. Ma volendo che l'opera abbia maggior rilievo a lo infuori, si conficcano dove ella ha da essere ferramenti o chiodi, o altre armadure simili, che tenghino sospeso in aria lo stucco, che fa con esse presa grandissima, come negli edifizii antichi si vede, ne' quali si truovano ancora gli stucchi et i ferri conservati sino al dì d'oggi. Quando vuole adunche lo artefice condurre in muro piano una istoria di basso rilievo, conficca prima in quel muro i chiovi spessi, dove meno e dove più infuori, secondo che hanno a stare le figure, e tra quegli serra pezzami piccoli di mattone o di tufi, a cagione che le punte o i capi di quegli tenghino il primo stucco grosso e bozzato, et appresso lo va finendo con pulitezza e con pazienza, che e' si rassodi. E mentre che egli indurisce, lo artefice lo va diligentemente lavorando e ripulendo di continovo co' pennelli bagnati, di maniera che e' lo conduce a prefezzione, come se e' fusse di cera o di terra. Con questa maniera medesima di chiovi e di ferramenti fatti a posta e maggiori o minori secondo il bisogno, si adornano di stucchi le volte, gli spartimenti e le fabbriche vecchie, come si vede oggi costumarsi per tutta Italia e da molti maestri che si son dati a questo esercizio.

Cfr. C. Arcolao, Le ricette del restauro. Malte, intonaci, stucchi dal XV al XIX secolo, Venezia, Marsilio 1998, pp. 101 -102.
 

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